Rinuncia al rimborso del prestito, l’atto va registrato a imposta fissa

L’atto mediante il quale un soggetto dichiara di rinunciare alla restituzione di somme che aveva prestato a una società è soggetto a registrazione in termine fisso, e sconta l’imposta di registro con l’aliquota dello 0,5% sull’importo oggetto di rinuncia.

Questo principio è stato espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4754 del 22 febbraio 2024.

Alla base della vicenda giudiziaria c’è una verifica, in ambito Iva, effettuata dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società per azioni.

Nel corso di tale verifica era stata rinvenuta una scrittura privata, sotto forma di lettera epistolare, mediante la quale un soggetto, rivolgendosi alla società di cui è unico socio, dichiarava di aver esaminato la situazione economico-patrimoniale della società stessa e di rinunciare alla restituzione di parte del finanziamento infruttifero da lui erogato a favore della stessa Spa. L’importo oggetto della rinuncia era indicato in 129.500.000 euro, mentre l’importo del finanziamento erogato era di 140.000.000 di euro.

Secondo l’ufficio, la scrittura privata recuperata doveva essere qualificata come “remissione del debito” e, di conseguenza, doveva essere registrata in termine fisso ai sensi dell’articolo 6 della Tariffa, parte prima, allegata al Testo unico sull’imposta di registro, Dpr n. 131/1986.

Questa norma prevede l’applicazione dell’imposta di registro, con l’aliquota dello 0,5% per gli atti aventi ad oggetto cessioni di crediti, compensazioni, remissioni di debiti, quietanze, garanzie reali e personali.

L’Agenzia, constatata la mancata registrazione di tale scrittura privata, ha proceduto con la registrazione d’ufficio, ai sensi dell’articolo 15 del Tur.

La registrazione d’ufficio è una particolare procedura di registrazione, prevista allo scopo di ovviare alla mancata richiesta di registrazione da parte dei soggetti obbligati a chiedere tale formalità ai sensi dell’articolo 10 del Tur.

Questa disposizione, con riferimento alle scritture private non autenticate, prevede la registrazione d’ufficio in caso di:

Il contribuente ha impugnato l’avviso di liquidazione emesso dall’ufficio, ritenendo che la scrittura privata in esame non rientrasse tra gli atti da registrare in termine fisso.

Secondo il contribuente, la mancanza dell’obbligo di registrazione in termine fisso risultava dal combinato disposto delle seguenti norme del Tur:

In pratica, secondo la tesi del contribuente, l’atto in esame doveva essere qualificato come un mero “versamento patrimoniale a copertura perdite”, in quanto era finalizzato a evitare l’adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 2446 e 2447 del codice civile, relativi alla riduzione del capitale.

Considerato che questa tipologia di atti non è contemplata tra gli atti societari da registrare in termine fisso, il contribuente riteneva non dovuta l’imposta di registro.

La Ctp di Torino (sentenza n. 208/2015) ha condiviso la tesi della parte, ritenendo che la dichiarazione resa dal contribuente era da considerare come un “versamento a fondo perduto destinato ad assorbire le perdite”, da assoggettare a imposta fissa di registro.

La Ctr del Piemonte (decisione n. 412/2018) ha confermato la decisione di primo grado.

I giudici della Corte di cassazione hanno, invece, condiviso l’operato dell’Amministrazione finanziaria, ritenendo che l’atto in esame, finalizzato a evitare i provvedimenti straordinari di cui agli articoli 2446 e 2447 del codice civile, dovesse essere qualificato come remissione parziale del debito, con conseguente applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota dello 0,5 per cento.

È stato espresso, in motivazione, il seguente principio di diritto: “l’art. 4, lett. a), tariffa I allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 disciplina l’imposizione fiscale degli “atti societari”, quale genus rispetto alla species “deliberazioni societarie”, aventi come comune denominatore esclusivamente il riferimento ad un’expressio voluntatis dell’organismo; ne consegue che l’atto di rinuncia al finanziamento sottoscritto dal socio – sebbene al fine di evitare la riduzione di capitale e conseguente futuro aumento di capitale – non rientra nell’alveo degli atti societari che sono costituiti dai soli atti che siano espressione della volontà assembleare”.

Sulla base di tale principio è stato accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e ritenuta legittima la tassazione dell’atto in esame con l’imposta di registro in misura proporzionale. 

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