Notifica valida se lo scopo è raggiunto e la motivazione è per relationem

Legittima la sentenza d’appello motivata per relationem, se il giudice dà conto delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ossia della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, a condizione che dalla lettura di entrambe le decisioni possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente.

Con l’ordinanza n. 5981 del 6 marzo 2024, la quinta sezione della Corte di cassazione, accogliendo le tesi dell’Amministrazione finanziaria e confermando la decisione dei giudici tributari di secondo grado, ha enunciato diversi e interessanti principi di diritto.

In particolare, i giudici di piazza Cavour hanno chiarito che:

  1. in tema di notifica della cartella di pagamento, l’inesistenza della stessa è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, solamente nell’ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della semplice nullità, sanabile con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo
  2. la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva prevista dal terzo comma dell’articolo 36-bis del Dpr n. 600/1973, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate
  3. la sentenza d’appello può essere legittimamente motivata per relationem, purché il giudice di secondo grado dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, di modo che dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente.

Il caso e il giudizio di merito
L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di un contribuente una cartella di pagamento con la quale recuperava a tassazione l’Irpef non versata per una determinata annualità.

Avverso tale atto impositivo, il contribuente proponeva ricorso dinanzi ai competenti giudici tributari che, però, sia in primo che in secondo grado lo rigettavano ritenendo legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria.

In particolare, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado per il Lazio riteneva la cartella impugnata sufficientemente motivata, la non necessità dell’invio della preventiva comunicazione bonaria ex articolo 6 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) in presenza di un controllo automatico ex articolo 36-bis del Dpr n. 600/1973, la conformità della cartella stessa al modello previsto dall’articolo25, comma 2, del Dpr n. 602/1973, in quanto nella cartella risultava il titolo della pretesa e il dettaglio degli addebiti e, infine, accertava la regolarità della notifica della cartella eseguita a persona addetta alla casa.

A questo punto al contribuente non residuava altra via che quella di proporre un ricorso di ultima istanza dinanzi la Corte di cassazione. Il ricorso era affidato a diversi motivi e, in particolare, veniva dedotta:

La decisione della Corte di cassazione
Chiamati a pronunciarsi definitivamente sulla questione, i giudici di legittimità hanno dato ragione al Fisco, confermando la correttezza della decisione dei magistrati tributari di merito.

In relazione al primo profilo di censura, relativo all’inesistenza della notifica della cartella di pagamento, la Corte di cassazione, reputandolo infondato e richiamando anche il proprio precedente a sezioni unite n. 149162016, ha chiarito che l’inesistenza della notifica è configurabile, oltre ovviamente che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della più blanda nullità, sanabile con efficacia ex tunc, o retroattiva, per raggiungimento dello scopo. Nel caso esaminato i giudici tributari avevano accertato la regolarità della notifica della cartella esattoriale a persona addetta alla casa e ciò in conformità all’articolo 26 del Dpr n. 602/1973, e dell’articolo 39 del Dm 9 aprile 2001, i quali prevedono che siano legittimati a ricevere gli invii a mezzo posta anche i componenti del nucleo familiare, i collaboratori familiari e il portiere dello stabile.

Proseguendo a esaminare il secondo motivo di ricorso, i giudici di piazza Cavour hanno ricordato come, per costante giurisprudenza di Cassazione, ogni qual volta la pretesa erariale derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate, è legittima la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato anche in assenza della comunicazione preventiva prevista dal terzo comma dell’articolo 36-bis Dpr n. 600/1973.

In particolare, hanno proseguito i giudici romani, in caso di comunicazione di irregolarità, ovvero quando dai controlli automatici o eseguiti d’ufficio emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione o rispetto a quanto effettivamente versato, il relativo obbligo di informazione nei confronti del contribuente imposto all’Amministrazione “non è sanzionato da alcuna nullità trattandosi, in ultima istanza, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale”. Come, infatti, ricordato anche pronunica n. 19893/2016 della Cassazione “nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta una fase indispensabile del procedimento, essendo sempre possibile per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo.

La Corte di legittimità ha, poi, precisato, con riferimento al contraddittorio obbligatorio di cui all’articolo 6, comma 5, dello Statuto del contribuente, sanzionato con la nullità dell’atto in caso di inadempimento, che quest’ultimo non è imposto in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ma soltanto allorché sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che non si è verificata nel caso di specie.

Con riguardo, infine, alla censura relativa alla motivazione apparente della sentenza di secondo grado, i giudici di legittimità hanno ricordato come sia possibile parlare di motivazione apparente solo allorquando la motivazione, pur essendo graficamente esistente non rende percepibili le ragioni della decisione, presentando argomentazioni obiettivamente inidonee a far comprendere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento seguito dai giudici. Per costante giurisprudenza di Cassazione, invece, “la sentenza d’appello ben può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente.

Così è avvenuto nel caso in commento e, dunque, anche questa doglianza del contribuente non è stata ritenuta accoglibile dalla Corte.

Per tutte le motivazioni ora viste, la Cassazione, definitivamente pronunciandosi sulla questione, ha respinto il ricorso del contribuente e confermato la sentenza di merito dei giudici tributari di secondo grado, favorevole al Fisco.

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