Calcite invece di materiale plastico. Il girotondo della merce è frode Iva

La Corte di giustizia di Prato, con la sentenza n. 104 del 21 dicembre 2023, si è pronunciata su una singolare frode carosello, realizzata facendo girare un medesimo carico di materiale, fatturato più volte tra le stesse aziende in un vorticoso girotondo cartolare, tra l’Italia, la Slovenia, la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca, avente quale unico scopo quello di evadere l’Iva a ogni passaggio in cui la merce rientrava fittiziamente in Italia.
In pratica, al cospetto di svariate operazioni di compravendita, i pagamenti non venivano mai effettuati e le società coinvolte realizzavano una serie di inverosimili cessioni e compensazioni per giustificare le transazioni; i sodali utilizzavano lo stratagemma di acquistare comune carbonato di calcio, fatturando materiale plastico di valore centuplicato.

Sulla scorta di tali elementi, l’ufficio accertava l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

La Corte di giustizia di Prato ha confermato il recupero (peraltro condannando il contribuente a 30mila euro di spese legali), evidenziando che “la frode veniva attuata mediante l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, simulando la vendita di materiale plastico “Compound” (ovvero “Master” o altre denominazioni similari, variate più volte nel corso degli anni), destinato esclusivamente ad aziende facenti parte del gruppo di sodali, per garantire IVA a credito ai rivenditori, ma in realtà avevano acquistato carbonato di calcio (di modesto valore), onde eludere eventuali controlli sulla merce; i pagamenti erano simulati, tanto che il denaro bonificato ai fittizi fornitori veniva riaccreditato dopo pochi giorni sui conti correnti di RCS. Anche il trasporto della merce era simulato, grazie all’aiuto di compiacenti ditte di trasporto ed al possesso … di appositi timbri di società di logistica, che venivano apposti sui falsi Cmr”.

In tale contesto, la ricorrente acquistava fittiziamente il materiale plastico, ricevendo fatture che recavano l’indicazione dell’Iva, che poi rimaneva a credito, in quanto la società “cedeva” contestualmente la merce in ambito comunitario (e quindi senza applicazione dell’imposta) alle medesime società (coinvolte nella frode) che precedentemente l’avevano venduta, le quali di fatto ne tornavano in possesso, svolgendo quindi il duplice ruolo di fornitore e di cliente.
A questo punto, era possibile far ripartire un ulteriore ciclo di fatturazione, che generava a ogni giro un credito verso l’erario, utilizzato per non versare l’Iva e per compensare ulteriori imposte.

Si tratta, come rilevano i giudici, del classico giro cartolare a circuito chiuso, “non destinato cioè a clienti finali ma esclusivamente ad aziende facenti parte dell’associazione truffaldina, per garantire Iva a credito ai rivenditori”; infatti, i materiali indicati nelle fatture erano reimmessi cartolarmente in circolo, tramite cessioni alle società comunitarie gestite dall’associazione.
 
Ecco un esempio dello schema di fatturazione, che aveva inizio dai fornitori/clienti Ue coinvolti nella frode:

Dopo vari passaggi cartolari, avvenuti interponendo varie aziende riconducibili alla galassia di società coinvolte nella frode, al fine di dare una parvenza di veridicità alla merce indicata nelle fatture (denominata “Compound”, “Master” o altre denominazioni similari, variate più volte nel corso degli anni per eludere le indagini), i sodali acquistavano a basso prezzo alcuni carichi di carbonato di calcio, che stipavano in apposito magazzino, in quantità pari ai Kg di Master e Compound indicati nelle fatture.
Anche il trasporto della merce veniva simulato, grazie all’aiuto di ditte compiacenti e al possesso di timbri delle società di logistica, apposti su falsi Cmr. A tal fine, i sodali facevano viaggiare un solo carico da 24mila Kg, che doveva fare più volte la spola da un paese all’altro, in modo da giustificare tutti i carichi indicati nelle fatture.
 
Fin dall’avvio delle indagini, la Guardia di finanza tentava di accertare la reale esistenza del materiale plastico fatturato, accedendo ai magazzini (in cui, in realtà, era stipato il carbonato).
Inizialmente, non potendo immaginare l’artificio costruito ad arte dai sodali, i militari si limitavano a verificare il numero dei carichi presenti nei depositi, senza curarsi dell’effettivo contenuto degli stessi; l’esame quindi si chiudeva erroneamente con esito regolare.

Anche l’Amministrazione finanziaria slovena, che a sua volta cercava di approfondire l’effettiva presenza del “Master” nei magazzini, non riusciva ad avvedersi della frode, in quanto i verificatori prelevavano una campionatura di materiale solo sulla parte superiore dei big bag, ove i sodali – proprio per eludere i controlli – avevano aggiunto qualche Kg di additivo.

Finalmente, nel corso di una ulteriore perquisizione locale, la Guardia di finanza, prelevando un quantitativo di merce a varie altezze, appurava che i pancali contenevano “carbonato di calcio sotto forma di calcite”, svelando così lo stratagemma: acquistare comune carbonato di calcio, avente un valore pari a 0,05 euro al Kg, spacciandolo nelle fatture per Master o Compound, a valori 200 volte superiori al reale.
Non solo. La ricorrente utilizzava altresì fatture per operazioni soggettivamente inesistenti; come osservato dalla Corte di giustizia di Prato, infatti, la società “acquistava materie plastiche … da società nazionali o comunitarie (cartiere o filtro) …., che si interponevano nelle effettive transazioni commerciali, riducendo il valore della merce in virtù degli omessi versamenti Iva; in questo modo, la ricorrente acquistava la merce a prezzi notevolmente inferiori, destinandola a clienti finali secondo il classico giro di fatturazione delle frodi carosello”.
Dunque, la ricorrente – anziché acquistare direttamente dal fornitore comunitario – interponeva società nazionali con funzioni di cartiera, le quali (omettendo di versare l’Iva) vendevano la merce sottocosto.

Si consideri, ad esempio, che nel caso di una transazione ordinaria:

Invece, laddove sia realizzata una frode carosello:
il fornitore Ue vende a 100 senza Iva alla cartiera
la cartiera vende sottocosto a 109,8 (90+19,8 di Iva, che non versa) al rivenditore nazionale
il rivenditore nazionale acquista a 109,8 e vende a 115,90.

Come si vede, l’interposizione della cartiera consente di acquistare la merce a un costo inferiore rispetto a quello praticato in una transazione ordinaria e, quindi, di rivendere a prezzi non praticabili da imprese “leali”; invece, per il “Master” i sodali non avevano ritenuto necessaria la vendita sottocosto da parte delle società cartiere, in quanto il materiale non era destinato al mercato e quindi non c’era bisogno di ridurre il costo di acquisto per avere maggior appeal commerciale.
Tale condotta garantiva alla ricorrente, come osservato dai giudici, “una notevole e repentina espansione commerciale in virtù del fatto che, grazie al meccanismo fraudolento che sfrutta gli omessi versamenti IVA delle società cartiere che si interpongono nelle transazioni, [riusciva] negli anni ad offrire alla clientela materie plastiche a prezzi estremamente concorrenziali, altrimenti impossibili da praticare in presenza di regolari transazioni commerciali. Il fatturato della società ha registrato una crescita esponenziale, passando dai 2,8 milioni di euro del 2014 ai quasi 14 milioni di euro del 2018”.

Sulla scorta di tali elementi, la Corte di Prato – evidenziando, in particolare, il fatturato in perenne crescita della società, il permanere di un importante credito Iva, la sofisticazione del materiale ceduto per “intralciare eventuali controlli”, il girovagare dei medesimi carichi in tondo tra le aziende coinvolte nella frode, in un circuito chiuso, con un aumento a dismisura del prezzo indicato in fattura nei vari passaggi cartolari – ha concluso che “non vi sono dubbi in ordine al coinvolgimento della [ricorrente] nella frode perpetrata nell’ambito delle materie plastiche, la quale ha sfruttato le peculiarità tipiche delle frodi carosello in modo sistematico e continuativo nel corso degli anni”.

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